Segreti in tavola
Il Monte Poro è un altopiano che si affaccia sulla costa tirrenica della Calabria, a sud ovest di Vibo Valentia, un’area ricca di pascoli caratterizzati da una grande biodiversità di erbe.
Per raggiungerlo si percorre una strada che sale dolcemente sino a un pianoro vasto, ondulato, verdissimo, punteggiato di piccoli borghi, di masserie, di greggi, a soli 700 metri sul livello del mare. La fertilità del suolo e il clima mite del Monte Poro hanno favorito sin dai tempi più antichi l’insediamento umano e la pastorizia. La prima attestazione scritta della produzione di un formaggio in queste zone infatti risale al Cinquecento, quando il sacerdote Gabriele Barrio in un suo trattato parla di un buon “cascio” apprezzato in tutta Italia. Ancora oggi, con il latte di pecore di razza comisana, sarda e in alcuni casi di “malvizza” (una popolazione ovina autoctona poco produttiva e di difficile gestione ma che dà un latte di eccellente qualità), allevate allo stato brado per buona parte dell’anno, si producono da novembre a maggio eccellenti pecorini. La tecnica è quella comune a tutti i pecorini calabresi: si fa coagulare il latte ovino (con eventuali aggiunte di latte caprino) con caglio di capretto o agnello. Si rompe finemente la pasta e si pone nelle fiscelle senza cottura, pressando le forme energicamente con le mani. Dopo aver spurgato le forme dal siero si salano e si stufano. La salatura è sempre a secco e impiega sale marino. Poi, prima di porre il formaggio in stagionatura, si tratta la crosta con olio di oliva e peperoncino, il che conferisce alla superficie una caratteristica coloritura aranciata. L’altezza dello scalzo è di circa 12 centimetri e il diametro delle facce si attesta intorno ai 18 centimetri. Il peso delle forme varia da 1,2 a 2,5 chilogrammi. Si consuma già a partire da tre mesi di stagionatura, ma sviluppa al meglio le sue caratteristiche nelle medie stagionature (cinque o sei mesi) e fino a un anno. Al taglio è leggermente occhiato, granuloso e di un colore che va dal bianco latte al bianco niveo. La pasta – molto grassa – grazie al trattamento che il pecorino subisce in crosta assume caratteristiche aromatiche particolari: in certi casi si sentono la menta, il fiore selvatico e il sottobosco; in altre, il fieno secco a cui si aggiunge spesso anche un sentore animale. In bocca è pastoso, piacevolmente nocciolato, con un finale più o meno piccante.
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